La Storia

L’origine del Cioccolato

La storia del cioccolato ha inizio, 4000 anni avanti Cristo, nell’America meridionale, dove l’albero del cacao cresce spontaneamente lungo il bacino dell’Orinoco e del Fiume delle Amazoni.

I primi a scoprire le virtù nutritive di questa pianta sono i Maya, che verso il ‘600 d.C., l’hanno introdotta nella penisola dello Yucatan.

Grandi coltivatori ne sono anche gli Olmechi e i Toltechi, infatti prima dell’invasione degli Aztechi, hanno esteso ulteriormente la produzione del cacao, fino alle zone interne del Messico attuale.

Oltre ad essere un alimento, il cacao era per i Maya anche una moneta e con gli Aztechi, dei quali il sistema monetario era realmente basato sulle fave di questa pianta, entra definitivamente nella storia. 

L’unità di misura standard del cacao che risale ai Maya è la “carga”, che equivale a 24.000 mandorle e al carico che poteva portarsi a spalla; la carga si compone di tre xiquipil di 8.000 fave, di cui ognuno equivale a 21 zontle di 400 fave. 

Xoconochco, paese da cui proviene uno dei migliori cacao del mondo, pagava una tassa annuale di 200 carga, mentre Tabasco pagava 2.000 xiquipil. 

Molti indigeni senza pensieri preferivano bere il cacao piuttosto che arricchirsi.

Hernandez (1572) riportò che gli indigeni avevano una vita felice, non si preoccupavano del futuro e gioivano dei beni temporali della natura utilizzando i semi del cacao al posto della moneta. 

Un esploratore dell’America centrale ricorda, al ritorno di un suo viaggio, che con 4 semi di cacao si poteva comprare una zucca, con 10 un coniglio, con 12 una notte con una concubina e con 100 uno schiavo.

Cristoforo Colombo e H.Cortés

La data ufficiale della “scoperta del cacao” è il 30 luglio 1502, giorno in cui gli Aztechi, andati incontro alla Santa Maria offrirono a Cristoforo Colombo, durante un suo quarto e ultimo viaggio alla ricerca dell’oro, oltre a tessuti e cuoio lavorato, anche la loro moneta, cioè “mandorle” di cacao. Infatti  quando Cristoforo Colombo sbarcò sull’isola di Guanja, al largo dell’Honduras, gli indigeni lo accolsero offrendogli una tazza di xocolatl. Il sapore intenso e amaro di questa bevanda non fu gradito dagli scopritori europei, tanto che Cristoforo Colombo non vi diede alcuna importanza. La vera conoscenza della pianta si ebbe pochi anni dopo con il rientro in Spagna di Hérnan Cortéz dal Messico. 

Diciassette anni più tardi, nel 1519, Hernàn Cortèz, giunto dalla Spagna per conquistare la Nuova Terra, fu accolto pacificamente dagli indigeni e dall’imperatore Montezuma. Questi, credendo nel ritorno del dio Quetzalcoàtl prevista secondo la leggenda proprio in quell’anno, pensò che lo spagnolo fosse la reincarnazione del “Serpente piumato” . Montezuma versò in coppe d’oro il cosiddetto “cibo degli dèi” e offrì ai nuovi arrivati il tesoro di Quetzalcoàtl, una bevanda a base di cacao, farina di mais e spezie come il peperoncino. Cortèz comprese subito il valore economico del cacao e lo portò con sé in Spagna. Qui furono i frati, grandi esperti di miscele e infusi, a sostituire il pepe e il peperoncino con lo zucchero e la vaniglia creando una bevanda dolce e gustosa. Nel suo primo rapporto all’imperatore Carlo V, Cortéz a proposito del cacao scrive: “esso è un frutto che assomiglia alle mandorle, che gl’indigeni vendono già macinate. Essi le tengono in grande pregio tantoché queste fave servono da moneta su tutto il loro territorio; con esse si acquista ogni cosa nei mercati ed altrove”. Gli spagnoli non tardarono ad intuire che il frutto del cacao aveva molteplici prerogative degne di attenzione. Le fave avevano un valore intrinseco e un valore di mercato determinato dagli scambi commerciali. Il cacao avrebbe perciò consentito un finanziamento parziale dell’impresa coloniale spagnola in America centrale e nelle province meridionali.

Dai racconti dei personaggi al seguito di Cortéz, pare che l’albero del cacao fosse ritenuto simbolo di fortuna, sia perché i suoi frutti erano delle vere e proprie monete, sia perché da essi si estraeva un succo che dava forza e vigore e veniva consumato dopo i pasti per le sue proprietà nutritive. Erano diverse le tradizioni legate a questa pianta e ai suoi frutti, che spesso sono associati ai simboli degli dei: delle vere e proprie cerimonie avevano luogo in occasione della raccolta, preceduta da tredici giorni di castità per i giovani.

Gli spagnoli, al ritorno dal Nuovo Mondo, introdussero in Europa l’uso del cacao e l’Italia fu il secondo paese europeo dopo la Spagna a scoprire l’esotica bevanda. Proprio la funzione di mezzo di scambio dei semi di cacao ha stimolato le relazioni e gli scambi commerciali in tutta l’America Centrale, originando un grande sviluppo e una straordinaria diffusione della aritmetica. Dopo la caduta dell’impero Maya nel IX secolo, gli Aztechi imposero il pagamento di tributi, che potevano essere pagati in fave di cacao dalle popolazioni dominate.

Bisogna riconoscere ai monaci spagnoli anche il merito di aver sottolineato l’alto potere nutrizionale del cioccolato, al punto tale da considerarlo un sostegno alimentare, insostituibile durante i lunghi periodi di digiuno. Per quasi tutto il ‘500, la scoperta di Cortèz rimase un grande “affare” della corte spagnola, che riuscì a mantenere il segreto della produzione della cioccolata, ma a diffonderne la bontà in diversi Paesi. Nel 1609 fu pubblicato in Messico il primo trattato scritto esclusivamente sul cacao: “Libro en el cual se trata del chocolate”. 

Dal XVII secolo in poi

Dalla Francia, i semi di cacao furono introdotti in Piemonte, terra che diede i natali a molti artigiani i quali fecero diventare Torino,a partire da fine ‘600, la capitale italiana della cioccolata. La prima licenza italiana per aprire una bottega di cioccolateria risale al 1678, quando Giò Battista Ari ottenne l’autorizzazione e il brevetto di Casa Savoia ad esercitare l’arte del cioccolatiere. In questo secolo comparvero le prime fabbriche di cioccolato, che subentrano ai monasteri e ai conventi. E fu proprio nei laboratori degli artigiani torinesi che impararono l’arte quegli svizzeri, scesi a fare i garzoni di bottega, i cui nomi oggi sono facilmente identificabili nelle marche di alcuni noti cioccolati.

Nel 1732 in Francia, Dubuisson inventò la tavola orizzontale riscaldata con il carbone a legna, che permise all’operaio addetto alla frantumazione del cacao di lavorare in piedi in modo più efficiente.
Nel 1778 sempre in Francia, nacque la prima macchina raffinatrice idraulica della pasta di cacao.

Verso la fine del 1700 ed i primi del 1800, in Inghilterra vengono utilizzate le macchine a vapore per macinare i semi di cacao: ha così inizio la produzione in grandi quantità del cioccolato.

In Olanda, Van Houten inventa una macchina per estrarre il burro di cacao, la bevanda comincia a diventare più fluida e quindi più gradevole.

Alla fine del 1800 lo Svizzero Daniel Peter aggiunge al cioccolato del latte condensato, ottenendo un cioccolato al latte di consistenza solida. Sempre alla fine del 1800, un altro svizzero, Rudolph Lindt, sviluppa un metodo nuovo ed originale per raffinare il cioccolato, il risultato è un prodotto finito estremamente fine: è il cioccolato fondente.

Oggi questo miracoloso ingrediente è universalmente apprezzato e consumato  in tutto il mondo. 

Il Cioccolato in Europa

Il cioccolato si diffuse prima in Spagna ma in Italia, e precisamente in Toscana si cominciarono  ad aggiungere alcuni particolari ingredienti: le scorze fresche di cedrata e limoncello, aromi di gelsomino, cannella, vaniglia, ambra e muschio. Protagonista indiscussa era la cioccolata al gelsomino del Granduca Cosimo III dei Medici, inventata nel Seicento dallo scienziato Francesco Redi e da considerare come il primo vero esperimento di ingegneria botanico-culinaria. La sua preparazione, infatti, era stata descritta in una ricetta che elencava in dettaglio ingredienti, dosi e procedimento, ma proprio per tale motivo divenuta un vero e proprio segreto di stato tanto che poteva essere gustata solo alla corte del granduca. Si trattava di una sorta di alchimia che richiedeva una lenta odorizzazione per contatto della polvere di cacao, in cui, tuttavia, il fiore di gelsomino non interveniva nella preparazione della cioccolata come ingrediente e nemmeno veniva aggiunto al cacao come estratto, bensì si combinava con il sapore sotto forma di impalpabile aroma. Insomma, una gustosissima fusione di profumo e di sapore, di naso e di palato. Le dosi, insieme a molte ricette a base di cioccolato, furono gelosamente custodite dal geniale principe Cosimo de Medici nella cassaforte della Fonderia di Palazzo Pitti. Nel 1615, grazie al matrimonio celebrato tra la principessa di Spagna, Anna d’Austria (figlia di Filippo III), e Luigi XIII di Francia, il cioccolato giunse in terra francese. Si narra, infatti, che la principessa spagnola avesse portato con sé l’attrezzatura per preparare il cioccolato e che lasciava usare soltanto alla sua damigella preferita di corte. 

Diluito con il latte, e non più con l’acqua, la bevanda al cioccolato prese il nome di “cioccolatte”, divenendo, di lì a poco, la bevanda più gradita nell’ambiente di corte, tanto da distinguersi per il vero e proprio cerimoniale che ne caratterizzava la preparazione: il Cardinale Mazarine, ad esempio, faceva sempre preparare la prelibata bevanda da un cameriere moro.

In Germania, il cioccolato arriva probabilmente verso il 1646, grazie ad uno studioso di Norimberga, che ne era rimasto deliziato durante il suo soggiorno napoletano. I tedeschi lo adottano di buon grado, ma il governo tassò il prodotto in modo tale che ben pochi potessero permetterselo.
Qualche anno più tardi, nel 1657, anche gli inglesi scoprono il cioccolato.

A Londra le bevande al cacao venivano vendute in locali pubblici specializzati: i  “chocolate-drinking houses” . 

Storia o Leggenda?

Come per tutte le piante ad alto significato sociale e simbolico, anche il cacao vanta origini divine. 

Un’antica leggenda narra che ai tempi in cui in Messico dominava Quetzacoatl, il dio fondatore della stirpe precolombiana, una bella principessa azteca, lasciata di guardia al tesoro dello sposo mentre questi era in guerra, fu assalita dai nemici che volevano costringerla a rivelare dove fosse il tesoro. 

La principessa preferì morire piuttosto che rivelare il segreto. Dal suo sangue versato da questa fedele sposa nacque la pianta del cacao. Da quel giorno si dice che questo frutto nasconde un tesoro nei suoi semi, “…amari come le sofferenze dell’amore, forti come la virtù e rossi come il sangue della principessa”. 

Questo dono dal cielo fu interpretato dagli Aztechi come un regalo del dio Quetzacoatl, un omaggio reso alla fedeltà della principessa per il suo sposo.

Gli Aztechi attribuivano, infatti, l’origine dell’albero del cacao a Quetzacoatl “serpente piumato”, il dio barbuto dal viso brutto e dalla testa lunga, che regnava nel villaggio di Tolla, antica città tolteca. 

Si diceva che possedeva tutte le ricchezze del mondo, in oro, in argento e in pietre preziose, e anche un gran numero di alberi del cacao di cui aveva insegnato, ai suoi vassalli, la cultura. 

Tutto andava per il meglio, ma venne il tempo in cui fini la fortuna di Quetzacoatl.

Tre stregoni, invidiosi della sua felicità e della sua ricchezza, si scatenarono contro Quetzacoatl. 

Uno dei due, il mago Titlacauan prese le sembianze di un vecchio decrepito che gli disse :

« Signore, ti porto una bevanda che è buona e che inebria colui che la beve; Ti intenerirà il cuore, ti guarirà e ti farà conoscere le strada del tuo prossimo viaggio nel paese in cui troverai la giovinezza ».

Quetzacoalt bevve, s’inebriò e perse la testa. Bruciò tutte le sue case d’argento e di conchiglie, e sotterrò i suoi tesori nella montagna e nel letto dei fiumi. Trasformò gli alberi di cacao in un’altra specie che non dava frutti. 

Partì per i paesi dove pensava di ritrovare la giovinezza, nella direzione del sole levante, verso l’est. Si imbarcò, coperto di piume, su di un vascello fatto di serpenti intrecciati, promettendo al suo popolo di ritornare un giorno e riportare tutti i tesori del paradiso.